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4 novembre. Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate Il più importante ed elevato contributo delle Poste viene da qualcosa di immateriale. Viene dalla possibilità per i soldati in guerra di non sentirsi abbandonati e alla mercé degli eventi. Per merito della posta.

Posta Militare Il quattro novembre del 1918 si firmava l’armistizio di Villa Giusti che poneva fine a oltre tre anni di belligeranza. Quando il 24 maggio del 1915 anche l’Italia entra in guerra sono in molti a pensare che si tratterà di una guerra breve, che potrebbe concludersi entro l’anno e che saranno sufficienti 500.000 soldati per arrivare alla vittoria. La guerra invece durerà più di tre anni e mezzo e i militari coinvolti saranno cinque milioni.
 
La Prima Guerra Mondiale è considerata anche l’ultima delle guerre risorgimentali, combattuta anche perché le “terre irredente” come il Trentino e il Friuli orientale, ancora soggette all’Impero Austroungarico, potessero tornare all’Italia, perché si compisse l’Unità nazionale. Con un grandissimo impegno anche delle Regie Poste perché cittadini e soldati fossero un esercito solo, come si legge su una delle innumerevoli cartoline prestampate che i militari potevano spedire gratuitamente ai propri familiari e amici.
 
Le Regie Poste contribuirono a sostenere l’impegno bellico. Basti pensare all’importanza di una rete telegrafica efficiente, estesa e capillare che permettesse di comunicare velocemente. D’intesa con il Comando di Stato Maggiore le Poste allestiscono una nuova rete telegrafica destinata principalmente alle comunicazioni militari, spesso in condizioni estreme, quasi sempre in alta montagna, con la posa di oltre 5.100 chilometri di nuovi fili. Potenziano i centri telegrafici della capitale e degli uffici che si trovano sul versante Adriatico, dove opera la squadra navale. Il telegrafo senza fili, inventato da Guglielmo Marconi, assicura le comunicazioni fra la terraferma e le isole e con le navi della Marina militare.
 
Posta Militare Lo Stato italiano ha bisogno di risorse economiche per finanziare gli enormi costi della guerra e le Regie Poste sono impegnate anche nel collocamento del prestito nazionale consolidato che offre un rendimento del 5%. Nel 1916 gli uffici postali raccolgono quasi 80 milioni di lire, in virtù della consolidata fiducia che i risparmiatori hanno per le Poste e della capillare rete degli uffici postali.
 
I soldati hanno bisogno di generi di conforto, cappotti, maglioni, sigarette, cibo che ricevono dai familiari grazie ad uno speciale pacco militare che si può spedire a tariffa ridotta.  A tariffa ridotta erano anche lettere e cartoline inviate loro.
 
Il più importante ed elevato contributo delle Poste viene da qualcosa di immateriale. Viene dalla possibilità per i soldati in guerra di non sentirsi abbandonati e alla mercé degli eventi. Per merito della posta. Lo testimonia quello che scrivono nei diari, nelle lettere, spesso in un italiano molto approssimativo, sgrammaticato, un italiano che non è ancora italiano, ma già comincia a non essere più dialetto. 
 
È un italiano forbito quello dello scrittore Ardengo Soffici che nel suo Diario di battaglia scrive: È arrivata la posta. Se le amiche, gli amici potessero immaginare il piacere di ricevere un saluto, una notizia qui! Chi non è stato per giorni e giorni così faccia a faccia con la morte, non potrà mai capire la dolcezza di una parola d’amore che arriva di lontano, a dispetto di tutti (Ardengo Soffici, Kobilek: giornale di battaglia, edito da Vallecchi nel 1919). 
 
Posta Militare È un italiano sgrammaticato quello di un soldato come tanti: Ti racomando di scrivermi spesso, e anche tutti igiorni (…) e di fare ben chiaro l’indirizzo che ti mando; sai che trovandosi tanto lontano dispiace se non si riceve le notissie della famiglia. Io non mi stancherò mai di scriverti, e ti farò stare contenta dandoti sempre le mie notissie. Lo stesso contadino, in un’altra lettera, non più dalle retrovie ma dal fronte, ribadisce di scrivere sovente, e di fare lindi risso chiaro, che non si posino perdere; perché din questi posti non si desidera altro che le notissie di famiglia (citato da Antonio Gibelli, La guerra grande, Laterza, 2016).
 
In tre anni e mezzo di guerra un flusso ininterrotto di comunicazioni unisce Fronte e Paese. Quattro miliardi di lettere e cartoline.  Due miliardi e mezzo, spedite dai militari. Un miliardo e mezzo quelle da loro ricevute. Ogni lettera sarà desiderata, richiesta, attesa con ansia. Un numero impressionante se si pensa all’elevatissimo tasso di analfabetismo e alla difficoltà materiale di scrivere, non solo per le condizioni di vita in trincea, negli spostamenti, nei combattimenti, ma, più banalmente, perché non si disponeva né di un foglio di carta né di una matita.
 
Un’impressionante organizzazione logistica fa sì che corrispondenza e pacchi arrivino fino in trincea e che dalla trincea lettere e cartoline giungano a casa. Nella sezione “I nostri filmati”, alcuni video girati nel nostro Archivio Storico con la redazione di European Affairs, raccontano questa complessa macchina da guerra e altro ancora. Il servizio integrale di European Affairs si può vedere su europeanaffairs.it
 
Per approfondimenti: 
 
archiviostorico@posteitaliane.it