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Racconti telegrafici: La ragazza del telegrafo, di Anthony Trollope Nell’Ottocento scrittori italiani e stranieri scelgono una telegrafista come protagonista di propri lavori. Come Anthony Trollope e "La ragazza del Telegrafo".

Trollope Fine Ottocento. Nell’arco di una manciata di anni lo scrittore americano Henry James, lo scrittore inglese David Trollope, e la scrittrice italiana Matilde Serao, raccontano una storia sullo sfondo di un ufficio del telegrafo. Tutti e tre scelgono una donna come protagonista e tutti e tre scelgono un’impiegata del telegrafo.

Il telegrafo, inventato nella prima metà dell’Ottocento, ha un enorme successo, cambia il modo con cui le persone conducono i propri affari e i propri affairs e offre alle donne la possibilità di avere un impiego rispettabile e dignitoso che offra loro un minimo, agli inizi proprio un minimo, di autonomia economica, di indipendenza personale, o che quantomeno permetta loro di contribuire al menage familiare.
Quando Trollope scrive La ragazza del telegrafo (nel 1877) sa di che parla. Lavora per le Poste inglesi dall’età di 19 anni, prima come impiegato, a Londra, poi come Ispettore, in Irlanda, Scozia, Egitto e Indie occidentali. A lui si deve l’introduzione delle cassette di impostazione nel Regno Unito. Concluderà la sua carriera come Ispettore Generale dei Telegrafi a Londra.

Lucy Graham, la protagonista del racconto di Trollope, è coraggiosa: sola, alla non più giovane età di ventisei anni, senza più il fratello e la cognata con i quali vivere e che facciano da garante della sua rispettabilità, il lavoro a lei più consono sarebbe quello di governante in una agiata e rispettabile famiglia. Lei invece no: “Quando, dunque, le fu suggerito che sarebbe stato meglio per lei lasciare l’Ufficio del Telegrafo e cercare la sicurezza di una qualche sistemazione, il suo animo si ribellò a quel consiglio. Perché non avrebbe potuto essere indipendente, e (al tempo stesso) rispettabile e sicura? […] Essa ardeva troppo all’idea di diventare una dipendente del Governo (…). Durante un terzo della giornata era, come orgogliosamente si diceva, un servitore della Corona. Durante gli altri due terzi era il padrone — o la padrona — di se stessa”.  Ma questo implica anche, secondo l’opinione corrente, che vivendo senza la protezione di una famiglia, potrebbe essere preda di qualche bellimbusto malintenzionato, cedere a peccaminose tentazioni, essere considerata una ragazza dai facili costumi con quel che ne consegue. Un pericolo che la nostra eroina sicuramente non corre, giacché incarna tutte le virtù di una brava ragazza dell’epoca vittoriana… il riserbo, la pudicizia, la dignità nelle ristrettezze, la generosità verso la coinquilina, anch’ella telegrafista, ma decisamente giovane e un po’ avventata – nell’ottica dell’epoca, beninteso – nei rapporti con persone dell’altro sesso come nelle spesette che fan per agghindarsi un po’, farsi bella e a maritarsi. Piccoli capricci come una serata a teatro con un conoscente (loro due, da soli, senza una sorella, un fratello, una terza persona che faccia da “garante”) e qualche nastrino colorato per rendere più carino un vestitino non proprio al top dell’eleganza.

La ragazza del telegrafo Il racconto non è un capolavoro e, d’altronde, ciò che spesso si rimprovera allo scrittore è l’aver scritto tanto, troppo; comunque interessante, quantomeno, per cogliere un’impressione del lavoro di una telegrafista di allora.
Intanto la nostra “Telegraph girl” non lavora in un semplice ufficio postale, ma in una grande sala apparati del Telegrafo centrale di Londra. Circa ottocento donne, con qualche presenza maschile, che lavorano su più turni fino alle otto di sera; a lavorare anche oltre son solo gli uomini. In una sala dello stesso edificio hanno la possibilità di consumare un pasto portato da casa o di usufruire della mensa aziendale. Le retribuzioni sono decisamente basse e la nostra protagonista, che fa i salti mortali per farsi bastare lo stipendio, divide una camera in affitto con la più giovane e avventata collega.

Nella sala apparati ci sono le telegrafiste ordinarie, quelle che lavorano con macchinari di vecchia generazione, che per decifrare i messaggi del telegrafo leggono punti, linee e punti stampati sulla strisciolina di carta. E queste sono le più numerose; si stanno però sperimentando nuovi telegrafi, collocati in uno spazio distinto detto “musical box”, in cui i segni non vanno letti, ma ascoltati e così decifrati. Un’innovazione che permette di essere più veloci, ma non tutti, e non la nostra Lucy, hanno un udito abbastanza sensibile. È una sfortuna per lei, perché quei pochi spicci in più che le Poste inglesi pagano a chi sa usare i nuovi telegrafi le farebbero proprio comodo, specie quando aiuta economicamente la sua giovane collega ammalata. È questo un periodo proprio gramo per la telegraph girl, ridotta a mangiare pane e acqua, letteralmente, e ad arrangiarsi con vestitini ormai logori e con un cappello inguardabile, ma pur necessario per motivi di decoro.
Ovviamente, e questo è un elemento che accomuna il racconto di Trollope al romanzo breve di Henry James (Nella gabbia, 1898), la soluzione ideale sarebbe essere telegrafista, sì, ma maritata. Chissà.

In attesa di raccontare altro di Trollope e delle sue ragazze del Telegrafo, nella prossima puntata si parlerà racconto di Henry James, “Nella gabbia”.
 

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